Plain
language: Come scrivere in modo chiaro nella comunicazione istituzionale
I principi
della semplificazione del linguaggio amministrativo e del linguaggio dei comunicatori pubblici
Definire il plain
language non è facile, basti dire che non si tratta di un linguaggio
semplicistico e banalizzato, elementare e impoverito anche nei contenuti bensì
di un linguaggio
che sfrutta tutte le potenzialità offerte dalla lingua e capace di esprimere
qualsiasi contenuto.
Esso è
depurato delle complicazioni inutili, ed evita, nei limiti del possibile,
quelle articolazioni linguistiche – lessicali, sintattiche, testuali – che tendono a ostacolare la
comprensione (ad esempio i tecnicismi, la nominalizzazione, la forma passiva,
ecc.).
I progetti istituzionali
finalizzati a semplificare il linguaggio amministrativo ovvero la comunicazione
pubblica in Italia, si sono incentrati sull’elaborazione di un complesso di
linee guida su come scrivere in modo chiaro, contenute in manuali e recepite in una direttiva ministeriale che vengono insegnate
ai comunicatori pubblici
Il ricorso a
tecniche di scrittura volte a favorire la comprensibilità dei testi amministrativi
è stato ispirato dal movimento del Plain language che a ridosso del 1970, o
poco dopo, nacque, nei paesi anglofoni, per promuovere una comunicazione
pubblica più trasparente e accessibile al comune cittadino
L’ampliamento
delle funzioni e dei compiti degli stati moderni aveva comportato
un aumento della complessità del linguaggio istituzionale.
Fu così che negli Stati Uniti, in Gran Bretagna,
in Canada, in Australia sorse il cosiddetto plain
language movement (letteralmente: ‘movimento del linguaggio chiaro’),
originariamente legato al più generale movimento dei consumatori, ma poi
sviluppatosi autonomamente.
Ispirandosi al
principio di cooperazione di cooperazione il plain language mira ad
adoperarsi
per l’esito felice della comunicazione, avendo innanzitutto considerazione per il destinatario
e adottando speciali accorgimenti per aiutarlo nella comprensione del
messaggio
Uno dei
principali risultati che il movimento per il plain language ha
ottenuto è
stata l’emanazione delle cosiddette plain language laws : leggi che stabiliscono
che certe categorie di contratti e alcuni atti a questi connessi (prospetti
informativi, notifiche, ecc.) devono essere redatti in un linguaggio chiaro,
prevedendo diversi criteri per determinare se tale obbligo sia stato adempiuto e
vari rimedi per la sua eventuale violazione.
A partire
dagli anni Novanta, la cosiddetta “dottrina del plain language”inizia ad
affermarsi anche in Europa.
La Direttiva
CEE 93/13 , all'art. 5, sancisce:
Nel caso di
contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al
consumatore
per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro
e
comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola prevale
l'interpretazione
più favorevole al consumatore
Il
legislatore italiano ha dato attuazione alla direttiva CEE 93/13, sopra
menzionata concernente le clausole abusive nei contratti stipulati
con i consumatori, con la legge 52/1996 (c.d. “Legge Comunitaria per il 1994”),
il cui art. 25 inserisce, nel titolo II del libro IV del Codice Civile, ilcapo XIV-bis
(artt. da 1469-bis a 1469-sexies), rubricato “Dei contratti del consumatore”
L’art.
1469-quater riproduce letteralmente il testo, sopra riportato, dell’art. 5
della direttiva.
Anche nel nostro ordinamento, dunque, è prescritta ora la
chiarezza e la comprensibilità dei contratti del consumatore.
La mancanza
di tali requisiti, oltre a essere sanzionata con la classica previsione dell’interpretatio
contra stipulatorem (regola secondo cui le clausole di
un contratto, nel dubbio, si interpretano nel senso più sfavorevole alla parte
che le ha predisposte), potrà essere valutata dal giudice come indice
di un
“significativo squilibrio” a danno del consumatore e far sì che le clausole contestate
siano giudicate “vessatorie”, consentendo così l’attivazione dei previsti
meccanismi di tutela.
Per quanto riguarda la comunicazione istituzionale, va ricordata innanzitutto la direttiva del Dipartimento della Funzione Pubblica del 7 febbraio 2002
Essa è
dedicata alla comunicazione delle pubbliche amministrazioni in generale e
riserva al tema del linguaggio solo l’art. 8, in cui si legge, tra l’altro:
La
comunicazione delle pubbliche amministrazioni deve soddisfare i requisiti della chiarezza,
semplicità e sinteticità e, nel contempo, garantire completezza e correttezza
dell’informazione.
Questo
obiettivo dovrà essere perseguito anche con l’impiego dei nuovi strumenti informatici.
Con la
direttiva dello stesso Dipartimento dell’8 maggio 2002, intitolata,appunto, Direttiva sulla semplificazione del linguaggio
dei testi amministrativi viene affermato il principio che:
Tutti i
testi prodotti dalle amministrazioni devono essere pensati e scritti per essere compresi da
chi li riceve e per rendere comunque trasparente l’azione amministrativa.
I numerosi atti prodotti dalle pubbliche
amministrazioni, sia interni(circolari,
ordini di servizio, bilanci) sia esterni, devono prevedere l’utilizzo di un linguaggio
comprensibile, evitando espressioni burocratiche e termini tecnici.
La direttiva poi contiene
regole da applicare a tutti i testi prodotti dalle amministrazioni pubbliche,
compresi gli atti amministrativi veri e propri
Anche gli
atti amministrativi in senso stretto, che producono effetti giuridici direttie immediati
per i destinatari, devono essere progettati e scritti pensando a chi lilegge. Oltre
ad avere valore giuridico, però, gli atti amministrativi hanno un valore di
comunicazione e come tali devono essere pensati. Devono, perciò, essere sialegittimi ed
efficaci dal punto di vista giuridico, sia comprensibili, cioè di fattoefficaci,
dal punto di vista comunicativo.
“dovranno [...] essere riscritti anche i principali atti e documentiamministrativi
vigenti”.
Per
raggiungere gli obiettivi dichiarati, la direttiva detta due decaloghi: il primo
contenente “regole di comunicazione e di struttura giuridica”, il secondo“regole di
scrittura del testo”.
Si tratta,
in sostanza, delle stesse linee guida sulla
scrittura chiara offerte dai precedenti strumenti approntati da Dipartimento
il Codice di stile del 1993 e,
soprattutto, il Manuale di stile del 1997
1. avere (e
rendere) sempre chiaro il contenuto del testo;
2.
individuare sempre il destinatario;
3.
individuare le singole informazioni e inserirle nel testo in modo logico;
4.
individuare e indicare i contenuti giuridici del testo;
5.
individuare la struttura giuridica più efficace per comunicare gli atti;
6.
verificare la completezza delle informazioni;
7.
verificare la correttezza delle informazioni;
8.
verificare la semplicità del testo;
9. usare
note, allegati e tabelle per alleggerire il testo;
10.
rileggere sempre i testi scritti.
Le “regole di scrittura del testo”:
1. scrivere
frasi brevi;
2. usare
parole del linguaggio comune;
3. usare
pochi termini tecnici e spiegarli;
4. usare
poco abbreviazioni e sigle;
5. usare
verbi nella forma attiva e affermativa;
6. legare le
parole e le frasi in modo breve e chiaro;
7. usare in
maniera coerente le maiuscole, le minuscole e la
punteggiatura;
8. evitare
neologismi, parole straniere e latinismi;
9. preferire
l’indicativo al congiuntivo (ove il contesto lo permetta);
10. usare in
maniera corretta le possibilità di composizione grafica del testo.
La dottrina
non è unanime circa le conseguenze della violazione di una
direttiva,
ma l’opinione prevalente sembra essere che l’atto che la disattende
senza che
tale comportamento sia giustificato da adeguata motivazione
− sia viziato
da eccesso di potere
Il Consiglio
di Stato e alcuni Tribunali Amministrativi Regionali hanno emesso sentenze che
hanno sanzionato atti (in particolare, bandi di gara e di concorso) scritti in
modo oscuro o ambiguo.
Merita un
cenno, infine, il recentissimo Codice dell’Amministrazione Digitale
L’art. 53,
fra i principi che devono informare i siti web istituzionali,
annovera anche la “chiarezza di linguaggio”:
Le pubbliche
amministrazioni centrali realizzano siti istituzionali su reti telematiche che
rispettano i principi di accessibilità, nonché di elevata usabilità e
reperibilità,anche da
parte delle persone disabili, completezza di informazione, chiarezza di linguaggio,
affidabilità, semplicità di consultazione, qualità, omogeneità ed interoperabilità.
Per approfondimenti:
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Il ruolo del Ghostwriter
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